Rapaci, capaci e incapaci
Tra noi rapaci, gli incapaci non esistono.
Voglio dire che durano molto poco. Chi è incapace, per motivi diversi, non
riesce a sostenere la sua famiglia e neppure sé stesso. Prima o poi, come
dite voi, “ci lascia le penne”.
Invece da voi gli incapaci prosperano. Non solo sono numerosi, ma hanno
anche dei vantaggi, per noi incomprensibili, nei confronti di chi è
pienamente capace. Una volta non era così. Noi aquile ricordiamo tempi in
cui anche gli uomini sopravvivevano solo se erano molto, molto capaci.
Poi avete scoperto il pollice opponibile, il linguaggio, il pensiero astratto,
l’arte e la guerra. Vi siete sottratti al ciclo alimentare e avete pensato di
aver superato tutti i problemi. In realtà, avete solo sottomesso parte della
Natura, avete cominciato a sfruttarla e l’avete danneggiata in modo
irreparabile. Nel breve periodo potete anche sembrare molto capaci,
addirittura brillanti, ma nel lungo periodo vi aspetta l’estinzione, come è
successo e continuerà a succedere a tutti i viventi incapaci.
Con tutta la vostra matematica, i computer e gli staff di superconsulenti,
siete incapaci di calcolare le conseguenze delle vostre scelte.
Siete perfino incapaci di fare divisioni e moltiplicazioni. State fermi per un
mese e mezzo e poi cominciate ad agitarvi perché, all’improvviso, vi
rendete conto del fatto che la posta che avete lasciato accumularsi non si
consegnerà da sola. Ci vuole qualcuno che la prende, la mette in una borsa
e la porta in giro, consegnandola dove deve andare.
Noi ce ne stiamo qui in alto, cullate dai primi venti caldi e accompagnate
da grandi ondate di profumi. Noi rapaci siamo fortunati: non dobbiamo
convivere con gli incapaci.
Stiamo aspettando che gli incapaci si estinguano, dolcemente e
naturalmente, come deve succedere a chi non sa fare i conti con la vita.
L’aquila scostumata