“Il Soviet delle Poste, patria degli “inabili” e regno della Cisl” di Antonello Caporale de “Il Fatto Quotidiano”

5 Maggio 2015

Il Soviet delle Poste, patria degli “inabili” e regno della Cisl

IL SINDACATO BIANCO FA TESSERAMENTI RECORD. TRA GLI ASSUNTI CHI NON PUÒ ALZARE PACCHI, CHI NON PUÒ FARE LA NOTTE E CHI NON PUÒ STARE NELLA POLVERE
Ogni giorno che Dio manda in terra 14 mila dipendenti delle Poste restano a casa. Sono il dieci per cento dell’organico. Settemila di essi si ammalano: febbre, artrite, mal di testa, di pancia, di gamba, di schiena. Ogni mese 19mila dipendenti delle Poste restano a casa tre giorni extra per accudire, a norma della legge 104, la mamma anziana, la moglie invalida, la nonna immobile. Ogni giorno decine di postini risultano inidonei a fare i postini. C’è chi non può sopportare carichi sulle braccia, e dunque i pacchi restano a terra. Chi non è idoneo a fare i turni notturni. E dunque la posta non la può preparare. Chi non è idoneo a soggiornare in luoghi polverosi, e purtroppo la polvere si annida tra le lettere e dunque la posta non la può smistare. Ogni giorno è una battaglia nel grande Soviet delle Poste Italiane che questo governo vorrebbe privatizzare entro novembre e ricavarne una decina di miliardi di euro, uno dei cosiddetti tesoretti da spendere magari cash. Ma che sarà un capitombolo all’ingiù se il Soviet continuerà a perdere quote di mercato, come gli sta succedendo nella divisione corrispondenza, e di fatturato.
L’utile c’è, ma i conti non splendono più
L’anno si è chiuso con un bilancio che ha ridotto drammaticamente l’attivo: da un miliardo (2013) a 220 milioni di euro (nel 2014) e il comparto tradizionale (corrispondenza) ha perso 504 milioni di euro. Avanzata persino una commissione d’inchiesta parlamentare – con tanto di timbro ufficiale da una trentina di parlamentari del Pd per decifrare i nomi di mogli e mariti, cugini e sorelle, di riciclatori di denaro sporco, di etnie sindacali affamate, di assunzioni sballate e fuorilegge, conti fuori controllo.
Le Poste Italiane sono l’ultimo ring del più grandioso e feroce scontro che si sia mai visto, immortalato la settimana scorsa dagli smartphone del gruppo degli assaltatori targati Cisl: “Bastardo, cornuto, fuori di qua, vergognaaaa!”. Grida sputate in faccia a Francesco Caio, l’amministratore delegato chiamato ad esporre la sua busta paga: un milione e duecentomila euro l’anno. Pretesto perfetto perchè la falange potesse svergognarlo all’istante e sbianchettare la sua voglia di ripulire le Poste e moralizzarle un po’. “Caio pensa di essere il marchese del Grillo. Ci dice: io so’ io e voi non siete un cazzo! E invece noi ci siamo”. Parla Mario Petitto da Girifalco, provincia di Catanzaro, da dodici anni segretario dei postelegrafonici della Cisl, il sindacato monopolista, il tutore con circa 60mila tessere del popolo dei postali, l’azienda italiana più grande con i suoi 144mila dipendenti. Fino a qualche tempo fa un soviet, tecnicamente una piramide di familismo amorale che, d’un tratto, si trova a fare i conti con la sua storia imbrattata dai trucchi e dalle prebende, da vere mazzette e da un profilo clientelare promosso dal sistema dei partiti (di ogni colore) che ora ipocritamente chiede verginità.
Un ufficio di collocamento per la politica clientelare
Negli archivi di Poste italiane sono conservate le cartelline dei politici che iscrivevano – come si fosse all’ufficio di collocamento – i loro clienti nella pianta organica. Oggi quegli stessi, o quasi, avanzano a Caio, il manager napoletano con l’accento londinese, di spezzare le reni alla moltitudine di calabresi, siciliani, campani e pugliesi che popolano in maggioranza gli uffici postali. “Anch’io sono un postino, e anch’io sono calabrese. Ed è vero che noi meridionali siamo la maggioranza. Ma si fa finta di non sapere che fino alle soglie del duemila le Poste erano un traguardo lavorativo e sociale solo per noi. Piemontesi e veneti, emiliani e lombardi non avevano interesse a quell’impiego. Ricordi che la busta paga di un postino è di 1100 euro mensili e un impiegato ne prende 150 in più. Paga da fame e i meridionali sono serviti a coprire i posti vacanti”.
È vero quel che dice Petitto, ed è giusto rammentare che la maggioranza dei dipendenti lavora sodo, che il gruppo ha un bilancio che comunque ha il segno più, che le migliaia che si sono trasferiti da Trapani a Cuneo avevano il giusto diritto di vedersi riconosciuta una vita dignitosa, un lavoro magari umile ma garantito.
Quel che è successo dopo, quella interminabile fila di migranti all’inverso, da nord verso sud, di assunzioni farlocche, di clienti aggregati nelle centinaia e centinaia di filiali è la storia abbastanza recente di un malcostume che si è fatto sistema. E di quel sistema il sindacato si è fatto garante.
Un gruppo di potere lungo dodici anni
Per dodici anni l’azienda è stata governata dallo stesso amministratore delegato, dallo stesso capo del personale, e dallo stesso segretario della Cisl. Un triumvirato. “Abbiamo fatto tutoraggio, è vero. E non nego le mie responsabilità. Ho cercato di bonificare l’ambiente, emarginare chi non si comportava bene. Ho fatto la mia parte”.
A dire dai risultati il lavoro di Petitto non è stato gratificato da un successo pieno. A novembre scorso in Sicilia scoppia lo scandalo dei figli di. Assunto il figlio del segretario provinciale di Palermo, la figlia del segretario aggiunto di Palermo, la figlia di quello di Caltanissetta, tutti e tre targati Cisl, la figlia del rappresentante della Uil di Messina e del suo collega di Agrigento, la moglie del segretario dell’Ugl di Trapani, la moglie del segretario Uil di Catania, la figlia del segretario regionale della Confsal di Catania.
da: Il Fatto Quotidiano 1° maggio 2015


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Biografia di Antonello Caporale

Nel 1985 si laurea in Giurisprudenza all’Università di Salerno (con una tesi sui limiti e le incongruenze della legislazione d’emergenza per le aree terremotate). Si trasferisce a Roma, dove consegue il master Luiss in giornalismo e comunicazioni di massa. Dopo una breve parentesi al quotidiano l’Unità, viene assunto da Repubblica nel giugno del 1989.[1]

Scrive di politica, ed è stato l’ideatore e l’autore delle interviste “Senza rete”, poi raccolte, con l’aggiunta di alcuni inediti, in un volume dal titolo La Ciurma. Ha firmato “Il Breviario”, rubrica quotidiana di pillole di vita politica e, su Repubblica.it, “Piccola Italia”.

Ha fondato l’Osservatorio permanente del doposisma della Fondazione MIdA.

Ora caporedattore del Fatto Quotidiano, è stato inviato di la Repubblica.

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